Critica

2000

MARCELLO VENTUROLI, testo del catalogo “LA SPLENDIDA SOLITUDINE NELLA CASER DEL 2000"
Dirò intanto le mie prime impressioni sulle opere recenti d Anna Caser.

Di trovarmi di fonte a un classico maestro d'avanguardia, da cui altridi più giovani generazio­ni possano oggi attingere per l'armonia che il maestro ha realizzato fraastrazione e figurazione.

La inconfondibilità di questa armonia che non è fatta di equazione fra simbolo e decorazione, ma di un sentimento. La fantasia dellapittrice prende per mano tutte le forme di avanguardia già adoperate, le filtra e le accende; da questa unione (delle forme edella fantasia) resta sulle tele marmate, splendenti, primigenitafiglia dell'iride, l'allegria dell'anima, in tutti i suoi solletichie sorrisi, in tutte le sue tessute memorie di gioia.

Comenella maggior parte degli artisti inconfon­dibili,il lettore medio conservatore vede la cromia di Anna Caser,eccessiva, gridata, rifusa in una specie di splendore di smalti,nella trasparenza ermetica di un cristallo che divida quelle immaginidi paradiso dall'esistente. Invece nelle aperture del suo mondointeriore io avverto un brulicare di energie che attingonodirettamente dall'esistenza e prendono veste precisa nel fondersi, lamemoria dell'infanzia e la favo­la,i sogni elusivi della adulta in fuga leggera fuori del consueto e delprevedibile e una sorta di Preciso definitivo discorso di saggezza.

Lafelicità del manufatto, come se l'artista, artigiana perfetta, fossestata capace di emancipare imbastiture e suture, senza mai lasciarenulla all'intentato dell’immaginario. Tutte le notazioni di questafavolista sono definitive, perentorie, atte a comunicare tutto ilracconto, tutto il ro­manzodello stupore: la figura longilinea, sagomata nei corpi come diparallelepipedi da cui spuntano gamba e piedi filiformi; le teste dimezze lune, di semi sfere beccheggianti, bucate nei connotatisoltanto da due fori vicinissimi, che attraversano col loro sguardoquell'aria turchina; lo spazio che si tesse di una serie di reticoliprofondamente sensibili, con lontananti prospettive architettoniche,un paesaggio la cui urbanistica viene coinvolta in una specie divelocità,di dinamismo, in cui il rapporto di spazio tempo non puònon essere quello dei cubisti e dei futuristi.

Quasicontemporaneamente alla inconfondibilità e autorità di una somma diimmagini così totali, si individuano alcuni precisi retaggi di maestri, nell’ordine, Klee, Licini; ma non nelle specifiche paroledel loro linguaggio, quanto nella particolare incidenza musicale,atmosferica, delle cose descritte, diciamo pure di questo teatro dipantomime.

Cosee figure che assumono talvolta il carattere di una scritturaideografica dal baratro del tempo, dalla illusione della vita pareche le parole trovate di Anna Caser stiano affondando dopo aver datoil messaggio di un intero entusiasmante discorso, segnato la tracciadi un sistema di felicità. Ma queste parole, lette per una secondavolta e poi per sempre recuperate al mallo di se stesse, riaffiorano,quale l’essenziale e bastevole verità della sua umana esperienza.

La Anna come metodo tecnico usa la tela alla rovescia e la ricopre condue strati di grassello di calce e di stucco veneziano “ per crearela superficie colorata corrosa con una sensazione di disfacimentodella materia”. E’ davvero un modo singolare di corrompere lasuperficie quello degli interventi di pennello e di spatola sullatela di Anna Caser, perché non v’è nulla di reticente e di nondetto nelle sue sottrazioni di materia e nei suoi misurati timbrid’iride: è come il linguaggio del poeta d’oggi, che adopera leparole più rade nel discorso, liberato dal peso delle connessionidella prosa, parole che suonano per questo nella loro totale persuasione.

II

Cercheròdi incanalare queste mie sparse impressioni sulle singole opere dellapittrice; ma devo dire che il modo in grande prevalenza razionaledella critica d’arte, del quale devo pure avvalermi, non mi èquesta volta di assoluto conforto: sento di non corrispondereall’incanto e all’entusiasmo del primo incontro con le operedella Caser con uguale atteggiamento nella analisi critica, perché,davvero, la bellezza e la poesia a volte ci mettono nelle condizionidi farsi spiegare soltanto con lo stupore e la commozione che cisuscitano. Ma provare non nuoce.

Cominceròla illustrazione delle opere recenti della Caser rifacendomi aglispazi entro i quali sono fatte crescere (è proprio il caso di usarequesto verbo) le sue solitarie e felici creature allungate, araldichenel loro rettangolo a fessura, ora affiorate nell’habitat che parefarle nascere fin dal disegno imbastito nella medesima cromia, orascolpite in quelle atmosfere di azzurri intensi o di incandescentirosa da bianchi segni capillari. Figure che restano immuni comecreature prenatali, ma che hanno assunto in quella loro placentadella fantasia il solenne silenzio della incontaminazione: eppure nonsono esseri fuori della nostra umanità, perché, intanto, dall’altodella loro statura fiabesca di totem protettivi, di follettivisitati e raccontati nei particolari strutturali, occhi, gambe,seni, sessi (sono tutte angiolesse in scatola, meravigliosi ausiliaririposti per ogni compagnia), ci guardano, sia pure con un occhio solodi ciclopine, in mezzo al profilo e allo scorcio della testa, mutetutte, perché senza bocca. Sono schegge di amicizia, ma a benriflettere, anche tanti specchi incantati di se stessa, alter ego chedanno lo specchio di un grande ossimoro: la solitudine e la felicecompagnia; l’essere obbligati a una sorta di prigionia di se stessinella memoria e vivere tuttavia nell’oggi; l’ossimoro dellapresenza e dell’abbandono, dell’estasi vissuta dentro l’anima ela dura amarezza della realtà.

Mipare di avere già visto queste creature nel taglio, straordinarioper un quadro di cavalletto di cm 25x150, come sfogliando un diariod’amore pescato in un remoto cassetto, in cui le pagine abbainol’attualità di mille( domande in una: perché io, sola, amo tuttivoi così intensamente, che la mia solitudine, leva di fantasia,diventa una festa?

Tuttedipinte nel Duemila, queste creature d’amore assumono nel panoramadell’arte della Caser il carattere di scanditi a solo della suaorchestra e nell’indicarli adesso partitamente penso quale siastato l’imbarazzo del bravo collezionista quando avesse volutoacquistarne una, dalla dozzina che ho in esame.

Comepre esempio la tecnica mista “Generazione dell’ombra, con le suevertebre azzurre di piani orizzontali, cui fa da asse una strutturasegnica filiforme in trasparenza, una totemica cosa-figura, chetermina con la tipica testa di mezza luna, gli occhi quasi unriconoscimento umano in extremis. Oppure le due “Sera pungente” Ae B, articolate dentro quell’azzurro acuto, straziante, con cuisovente Anna fa magie di figure che appaiono e scompaiono, dipaesaggi di favola che si fisionomizzano in accolite di microbicisemafori, capillari geometrie di steli portanti non esplosi tondineri.

Ideedi fanciulle solitarie o fuggite o davanti alla loro porta di casa,porte strette e lunghe quanto la statura di queste creature, come in“Valli di luce” cm 25x120, immagine di una femminile aurora disperanza in chiave di pallido rosa.

Eche dire di quella tela eseguita nel 1999 che ha per titolo “It’stime we started” (cm 26x150), la cui compattezza di atmosfere e didisegno, di volto e di maschera (una delle poche “principesse”che sia messa in castigo mascherata) sembra esser raggiunta con undenso impasto cromatico su tavola?

Inuno spazio meno obbligatyo in verticali rapimenti la figura di AnnaCaser non è per questo più accessibile a una idea figurativa diracconto; il paradigma fantastico resta sempre quello dei grandimaestri di avanguardia, per esempio gli angeli, le Amalasunte diOsvaldo Licini, che in spazi più larghi si presentano nel lorohabitat (come avviene in “Una solitudine”, cm 50x70, dipinto cometutti gli altri nel 2000, sempre per mezzo dell’araldicaimbastitura dei segni astratti, più ritmati e nella collocazionesimmetrici nel grande azzurro, a cominciare dal perfetto ovalemonocolo della testa su cui sovrasta un ricciolo decorativo, aproseguire coi simboli dei seni e del sesso in un tronco di segnatocome una prua geometria. Paradigma fantastico dei grandi maestri diavanguardia si festeggia nell’altro quadro di figura femminileunica, nuotante o volante nello spazio colorato di un azzurrotimbrico, dal titolo – repetita iuvant- “Profonda solitudine” (Tra parentesi: più l’artista constata fin nei titoli dei suoicelesti lamenti la situazione dei fondo, più questa situazione sicolora e si popola di una vibrante sensazione di vita e di amore).


III


Nelgenere di lavori che in termini convenzionali si usa chiamarepaesaggio con figure Anna Caser ci fa entrare in un mondo sterminatosenza confini: non ci racconta più se stessa nell’eremo che s’ècostruito in una sorta di privacy incantata, dentro una specie disolenne sonno ad occhi aperti, ci apre, da quelle finestre e portelunghe di ieri un eden popolato di incredibili cromie e strutturegrafiche, a significare episodi di paradiso, straordinari e bellezzedella natura, che nel momento stesso del loro impatto con lo sguardodi Anna precipitano come isole inghiottite nell’azzurro o,all’opposto, si fanno presenti coi loro identificati panoramai,intensi nei particolari per esempio con l’irta brulicante selva dialberi, cipressi tramutati in gocce acute al blu di prussia.

Questafioritura di profigi assommati come in un diario di bordo da unaviaggiatrice dentro un cosmo sensibile, terrestre (come quelli delprimo Matta per esempio o come i giardini dell’anima o i boschiliberty dell’Hunderwasser maturo) è immaginata sempre per lei: lacreatura umana infatti presenzia il tutto, magari soltanto con la bennota mezza testa forata da due dolci, affettuosi cerchi rossi, comenel quadro dal titolo “La fanfara della primavera”, tecnica mistasu tela, cm 70x100.

Personaggiquasi a presumere l’autoritratto si festeggiano nel prezioso“Pausing at the fence” (cm 70x100, stessa data e tecnica) dovealla fusione cromatica dell’atmosfera, verde nella parte superioredel quadro e rosso aurata nella inferore fanno riscorntro la fusionedelle singolari golie a freccia di triplici segmenti, lanciate aincorniciare, anzi a immateriare lo spazio, nel cui centro si erigeuna figura, di cui stavolta, fra gli altri particolari botaniciinventati (foglie cravattino, colli gambi) ammiriamo gli occhi,anch’essi vegetali, in cui buchi di luce a succhiello sonocontornati da un alone verde. La fanciulla dentro la metà dellaribalta, eretta come una pianta di serra, festosa e festeggiatainsieme, ci guarda. Certo che proviene direttamente dall’animalimpida di Anna, sia nel dolore che nella gioia, ma tenuta per manoda acculturati bisnonni, stavolta uno dei più estrosi, astratti eprovocatori, Mirò. Personaggi che talvolta nel loro erigersi,echeggiare, far gruppo, diventano una specie di umano paesaggio,figure che non moltiplicano meccanicamente l’isolamento della umanapersona in una sorta di eremitaggio di massa (per usare una belladefinizione di Franco Solmi) ma ne danno invece il senso di unacomune appartenenza al mondo del sogno. Quale felice persuasione cicomunica questa fuggitiva, questa forastica delle cose comuni ebanali, di essere anche noi, se ci specchiamo nella pittura daltitolo “Mute vite serali” (cm 70x100), scelti come titolari diuna stupefacente diversità, dentro quell’aria azzurra che tuttoassolve e magnifica, a muovere sui colli filiformi le teste di lunecrescenti, a erigere i nostri corpi meravigliosamente nell’ombradella sera! Sono utopistiche ipotesi, naturalmente, assurdità fraferne, di cui del resto è permeata tutta la poesia; ma è proprionella apparizione della concreta fantasia pittorica, la logica delmessaggio. L’artista ci fa, per la recita, il quadro ancora piùincredibile, fantastico, con quella cornice arancio sul rettangoloazzurro delle tre figure.

RaramenteAnna Caser s’impegna in interpretazioni del mondo che le sipresenta nella sua schiacciante violenza e ottusità. Direi quasi cheil suo punto di partenza e di tutta la sua ricerca di poetica veritàsia invece l’affermazione di una interiorità a tutti i sosti esenza compromessi. Sicchè l’idea di far leva sulla conoscenza diuna Vieria da Silva sul brulicare della città quale insieme dianime, colte allo scoperto, cui sentirsi inserita, è estraneaall’artista. I suoi paesaggi urbani infatti, come per esempio“Nella città d’asfalto” (cm 70x100) sono privi di strade e difinestre, non hanno mura e fondamenta. Talvolta la città inglobatanelle sue inconfondibili atmosfere azzurre, assume il fascino di unpanorama sorvolato da un aereo, come in “Risveglio” (cm 115x115)dipinto nel 2000.


IV


E’curioso il fatto che entrando nell’arte di Anna Caser si passi benpresto da una quasi immobilità di solitudine paga di se stessa aduna dinamica di compresenze fra paesaggio e figure, di stagioni, diculture, di epoche, immagini di memorie e insieme iperboli dinotazioni su aspetti del giorno e della natura.

C’èun gruppo di dipinti che assume una unità fisionomica intanto dalla“finestra” perfettamente quadrata (cm 115x115) da cui l’artistaci fa guardare il suo celebrato esistente. Oltre al già menzionato“Risveglio”, sono pezzi indimenticabili “Generazione continua” (paesaggio di appassionata e quasi monocromatica effusioneinformale, alla cui sommità e proprio in posizione centrale,totemica, però in una proporzione secondaria, appare la testa lunaredella Caser. Si festeggiano anche vaste collane di elementi vegetali,piccolissimi triangoli bianchi e altri oggetti geometrici comegioielli incastonati, il tutto sparso, articolato, rapportato invirtù dell’eleganza che piò essere data dalla più felice armoniainteriore); “Chiaro era all’alba” (un dialogo nell’azzurrofra un personaggio caseriano e la luna); “Il giorno scoloriva”(il fenomeno della crescita della selva degli alberi-aquiloni nelprato blu notte della sua calamitante tranquillità); “Un belgiorno turchino” (come un grande vessillo atmosferico intrisod’ombre e di luci e, stavolta, privo di personaggi); “L’erbalungo il ruscello” ( di rinnovato freschissimo piglio fiabesco, conuna scenografia di paesaggio tanto arbitraria quanto persuasiva).

E’sempre inadeguato andare a rcalcare le immagini grandementefantastiche di una pittura con le parole, è quasi come canticchiareuna sinfonia; ma l’entusiasmo che mi ispira l’arte di questa fragli artisti di lirica invenzione più preziosi e riconoscibili cheabbia l’Italia, mi fa continuare, sia per brevemente, nellaillustrazione. Per trovarmi sempre più certo della originalitàdello spazio figurato di Anna Caser della sua inimitabile dosatura disegno e cromia, di quel fare messaggio solenne - a specchio di unsemplice gesto, di uno sguardo - del mondo che ci ignora e cheamiamo profondamente; di cui l’artista riesce a dare, nellasolitudine, una così ottimistica e poetica testimonianza. Segni diKlee intersecano gli spazi rosa dorati de “La tua luce brilla”(cm 70x100), segni di vertiginose strutture cui presiede in alto, nelmezzo, il volto della Caser; cose di un paradiso che l’artistaassomma nella sua frequentazione azzurra di cortei di foglie, digeometrie arlecchinate, tra fili di sagomature e aloni verticali diluci, dalla profonda musicalità, in “Ultimo sole” (cm 60x120). Eche dire della coppia di volti levitanti come lune su un orizzonte in“Reti di musica” (cm 70x100) o in “Il giorno è vicino” (cm25x120) come di un grande avviso, di un accattivante amuleto, di unmisterioso oggetto, l’ennesimo alter ego di Anna Caser, testa lunaed occhi di spillo contornato di scoppiettanti antenne, in unpanorama dolcissimo di varie prospettive orizzontali, a persuadercidel sogno?

MARCELLOVENTUROLI, testo del catalogo “LA SLENDIDA SOLITUDINE nella Caser del 2000”

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